David Nutt, direttore del Centro di Neuropsicofarmacologia presso l’Imperial College di Londra ed esperto di dipendenze farmacologiche e comportamentali, all’inizio del 2000 venne nominato dall’allora premier Tony Blair a capo dell’Advisory Council on the Misuse of Drugs (ACMD), una commissione medica istituita alla fine del XIX secolo per dare consulenza al governo britannico sulle droghe. Nutt non si era mai occupato di droghe illegali, pur essendo uno dei neurofarmacologi più importanti del mondo, e “da scienziato” decise di studiare il fenomeno utilizzando i dettagliatissimi e aggiornatissimi archivi del National Health Service, il servizio sanitario nazionale britannico.
Il primo risultato del suo lavoro fu uno studio sul danno complessivo delle sostanze sugli individui e sulla società, pubblicato dalla rivista medica The Lancet da cui si evinceva come l’alcol fosse più dannoso che eroina e crack. Il rapporto suscitò aspre reazioni sui giornali di destra e Nutt venne “ammonito” a non diffondere le proprie ricerche senza l’autorizzazione del Ministro della Sanità. Nutt, però, rincarò la dose e nel 2009 pubblicò un editoriale sul Journal of Psychopharmacology dove con toni derisori denunciava “l’irrazionale distanza tra i rischi associati alle diverse sostanze psicoattive e il loro status legale”, partendo da una comparazione tra i danni dell’ecstasy e quelli dell’equasy (un acronimo usato da Nutt per indicare la passione per l’equitazione: EQuine Addiction SYndrom). I dati del sistema sanitario britannico dimostrano che i danni acuti e cronici dovuti all’equasy, sono enormemente maggiori di quelli dovuti all’ecstasy: andando a cavallo c’è un evento di danno acuto a carico di una persona ogni 350 episodi, mentre nel caso dell’ecstasy questo dato è di 1 per ogni 10.000 episodi. I danni dell’equitazione, peraltro, sono relativamente rassicuranti rispetto ad altri sport: secondi i dati NHS, ad esempio, quasi l’1% dei partecipanti alle corse amatoriali di fondo negli ultimi vent’anni aveva avuto bisogno del ricovero ospedaliero durante o dopo la gara. Ad aumentare la percezione della pericolosità dell’ecstasy sarebbero soprattutto i media, secondo Nutt “sempre troppo pronti a dare spazio agli incidenti provocati da qualche sostanza illegale e troppo poco attenti ai pericoli più concreti. Una revisione di quanto pubblicato da un gruppo di giornali locali e nazionali negli ultimi dieci anni, per esempio, ha fatto emergere un dato sbalorditivo: si è parlato di uno solo su 250 decessi indotti dal paracetamolo, di uno su 50 tra quelli causati da una benzodiazepina, di uno su tre fra quelli riconducibili all’uso di amfetamine, mentre tutti i casi di decessi legati all’assunzione di ecstasy sono finiti sotto i riflettori dei media nazionali. Le morti dovute ad incidenti sportivi sono state quasi tutte riportate sui giornali locali, ma solo in un caso su 300 su quelli nazionali”. Immediatamente dopo la pubblicazione dell’articolo, l’allora premier laburista Gordon Brown decise non soltanto di licenziare Nutt, ma anche di sopprimere (dopo oltre un secolo!) l’ACMD.
In un’intervista di qualche anno dopo all’Indipendent Nutt, riassumendo la propria esperienza a capo dell’ACMD, disse che la prima cosa di cui rese conto è che “le leggi contro le droghe dal punto di vista della sicurezza sociale e sanitaria non sono solo inefficaci ma anche controproducenti: favoriscono la circolazione di sostanze che non sono controllate e che possono essere adulterate in ogni modo, impediscono la diffusione delle informazioni e hanno fatto crescere un diffuso mondo criminale”. Disse anche che non era stupito del fatto che Brown avesse deciso di abolire l’ACMD visto che “un approccio scientifico può mettere in discussione le leggende urbane sui danni delle droghe e le stesse leggi antidroga da cui dipendono enormi apparati”, a partire dalla polizia. Secondo Nutt, “se non ci fossero le leggi antidroga, molti poliziotti sarebbero disoccupati: più di metà degli interventi della polizia nel Regno Unito sono effettuati alla ricerca di marijuana, una sostanza che oltre l’80% dei medici britannici ritiene meno dannosa dell’alcol e dei cibi troppo grassi o troppo zuccherati”.
Nei paesi del Nord del mondo, dove non si può dire in pubblico che la polizia esiste per difendere le ricchezze dei padroni e il potere dei governi, sono le leggi antidroga a garantire alla polizia lavoro e potere, come dimostrano anche le esperienze dei paesi e degli Stati USA che hanno legalizzato la cannabis. A Detroit, dove la ganja è legale dal primo gennaio 2022 dopo un referendum, un rapporto ha rivelato che nei primi dieci mesi dell’anno scorso gli interventi della polizia sono diminuiti del 95% rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti e il Consiglio Comunale ha votato un piano che prevede di ridurre di un terzo gli effettivi delle forze dell’ordine. In molte città della California e del Colorado è già bloccato da anni il turn over della polizia e gli agenti che vanno in pensione non vengono sostituiti, mentre a San Francisco è stato fatto un accordo sindacale che “trasformerà” alcune centinaia di poliziotti in autisti di scuolabus. Anche in Italia i poliziotti sono troppi, lo ha detto anche a suo tempo la Commissione Cottarelli incaricata dal Governo Renzi di sondare gli sprechi della spesa e pubblica e che giunse alla conclusione che il settore in cui si concentravano più sprechi era proprio quello delle forze dell’ordine, visto che i membri di Carabinieri, PS, Finanza etc continuano ad aumentare mentre i reati continuano a diminuire. Un fenomeno che peraltro continua come dimostrano gli ufficialissimi (e ignoratissimi dai big media che preferiscono continuare a vendere paura) dati della Direzione Nazionale Anticrimine diffusi il 5 gennaio che attestano che dal 1° gennaio fino al 28 dicembre del 2022 vi sono stati 309 omicidi (per intenderci, nel 1990 gli omicidi in Italia furono 3012 e nel 2007 632) e che nel confronto con gli altri paesi europei l’Italia è quella con Svizzera e Norvegia con il minor tasso di numero di omicidi ogni 100mila abitanti, lo 0,6, mentre in Germania è lo 0,9, nel Regno Unito l’1,2 e in Francia l’1,4. Niente paura, però, a garantire lavoro alla polizia ci pensano le leggi antidroga e tanto più adesso che c’è il Governo Meloni. Un po’ perché fascisti e leghisti i loro amici in divisa li portano proprio nel cuore e un po’ (e soprattutto, forse) perché fascisti e leghisti al governo ci sono arrivati grazie ad una legge elettorale supertruffa che ha dato a loro e ai loro alleati di Forza Italia il 59% dei seggi in Parlamento con il 43% dei voti (al netto delle astensioni vuol dire meno di un quarto del corpo elettorale) e con così poco consenso, le bollette che aumentano, la guerra che continua e le migliori intenzioni di far la guerra ai poveri a colpi di blocchi degli aumenti delle pensioni e sospensioni del reddito di cittadinanza, qualche centinaio di migliaia di guardie armate dalla propria parte fanno veramente comodo.
La storia delle leggi antidroga in Italia si può riassumere così: se c’è il governo tecnico o di “centro-sinistra”, c’è qualche ministro illuminato che dice che le leggi fatte dai governi precedenti sono barbare e andrebbero cambiate, ma intanto queste vengono applicate con la ferocia di sempre ed è così che siamo arrivati ad avere più di un milione e mezzo di persone segnalate e sottoposte a sanzioni amministrative e penali “per droga”. Quando, invece, al governo ci vanno fascisti e leghisti, questi son talmente affamati di sofferenza umana che un milione e mezzo di perseguitat* non gli bastano e pensano subito a leggi ancora più crudeli. A questa mandata, il governo Meloni ci ha pensato proprio subito e il 31 ottobre alla prima riunione del nuovo Consiglio dei Ministri del governo Meloni, sull’onda della polemica per una festa illegale in corso in quei giorni a Modena, ha varato il Decreto Rave, introducendo una nuova fattispecie di reato: “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” che per gli organizzatori di questi eventi, se vi partecipano più di 50 persone, prevedeva una condanna da tre a sei anni di carcere, una multa compresa tra i 1.000 e i 10.000 euro ed il sequestro dei mezzi – furgoni, auto, ecc – e delle strumentazioni – casse, impianti musicali, etc.
I rave party sono feste autogestite ad ingresso gratuito segnate e caratterizzate dai suoni della techno, e delle sue sorelle goa, jungle e drum & bass etc, che si si tengono solitamente in spazi isolati, per esempio all’interno di aree industriali abbandonate o in grandi spazi aperti, come campi, cave, boschi e foreste. Sono l’incarnazione contemporanea dei free festival ad ingresso gratuito che hanno iniziato a tenersi in Inghilterra a partire dai primi anni ’70 (il primo fu quello del 1972 nel parco di Windsor, nella terra riservata da secoli alla caccia della Royal Family e che durò altre due edizioni finché nel ’74 non fu oggetto di una dura repressione da parte della polizia e iniziò a prendere vita il primo festival di Stonehenge) e che, come i rave di ora, erano caratterizzati non solo dalla musica ma anche da allestimenti degli ambienti, performance di artisti, giocolieri e abbondante e disinvolta vita comunitaria (che in un mondo segnato da leggi proibizioniste ma dove vaste minoranze di persone fanno uso abitualmente di sostanze proibite dalle leggi, significa spesso anche uso di queste sostanze). Rovinare le feste è da sempre una specialità di fascisti e creature simili quando arrivano al governo. Giovanardi ai suoi tempi era riuscito a far sloggiare dall’Italia il Rototom, il più importante festival reggae europeo che per anni si era tenuto in Friuli e che è stato costretto a trasferirsi in Spagna perché tra gli amanti della musica giamaicana giravano troppe canne. Salvini, da ministro del Governo Conte I, era riuscito nel 2019 a trasformare l’ultima edizione (per ora…) della gioiosa street parade antiproibizionista pisana Canapisa in un raduno stanziale (che comunque ha avuto diverse centinaia di partecipanti). La Meloni ha pensato che doveva essere ancora più cattiva e così ha proibito tutti i rave, oggetto da sempre di campagne di diffamazione che hanno avuto recentemente il loro culmine nell’estate del 2021 quando, in occasione del rave di Valentano nel Lazio, venne data la notizia che era morto un giovane durante la festa, mentre in realtà il morto era un giovane sommozzatore morto durante un’immersione in apnea in un lago a qualche chilometro di distanza. I rave, peraltro, in Italia non sono mai stati consentiti e sono da sempre oggetto degli interventi della polizia con perquisizioni e retate nelle vie d’accesso alle feste, con pressioni sugli organizzatori per interromperli e con denunce che hanno portato a processi e a condanne (ma vi sono state anche assoluzioni come quella del tribunale di Cuneo che nel dicembre del 2017 ha assolto i giovani denunciati per un rave party nel 2015 a Castelnuovo di Ceva affermando che “non solo non commisero reati, ma esercitarono un diritto garantito dall’articolo 17 della Costituzione, cioè la libertà di riunione”). Questo e il fatto che la norma parlasse genericamente di “raduni” e che quindi potesse essere utilizzata anche per colpire manifestazioni politiche e sindacali ha attirato numerose critiche sul Decreto. Vi sono state anche manifestazioni di protesta organizzate da tribes e centri sociali che sono culminate nella giornata nazionale di protesta del 17 dicembre con street parade in diverse città (anche molto partecipate, a Bologna erano più di 10mila persone). Il Governo Meloni, incurante delle critiche e delle proteste ha scelto di far confermare il decreto-legge prima della sua data di scadenza, con un emendamento (poi approvato definitivamente dalla Camera il 30 dicembre) che cambia il numero dell’articolo, che diventa il 633 bis e che limita il reato a “chiunque organizza e promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici e privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”, mentre i partecipanti saranno, invece, sempre punibili ma solo in base all’articolo 633 del codice penale, che riguarda l’invasione di terreni o edifici. Non cambia invece la pena, che resta da 3 a 6 anni, restano in questo modo possibili le intercettazioni, circoscritte alle eventuali indagini sull’organizzazione dell’evento. In effetti, anche per il resto il nuovo testo non è molto diverso dalla sua prima formulazione come decreto-legge. Parla non di generici “raduni”, ma di “un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”, però questo termine è altrettanto generico ed è comunque “l’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti” a far scattare il reato, indipendentemente peraltro dal numero dei partecipanti che nella nuova legge non è specificato. Nella riunione del Consiglio Superiore della Magistratura che si è tenuta per parlare della nuova legge il consigliere laico Alessio Lanzi (in quota Forza Italia) ha osservato che la nuova versione della fattispecie corretta con un emendamento del Governo al dl rave “prevede lo scopo di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento. Quindi è compreso tutto, anche quelli che vanno in spiaggia a vedere il sole e che fanno circolare la droga e l’eroina. Evidentemente è un altro scopo di intrattenimento”. Anche il deputato Fabrizio Rossi e Simonetta Baccetti, di Fratelli d’Italia, hanno fatto una trionfale dichiarazione dicendo che la nuova norma “non è rivolta esclusivamente ai cosiddetti rave-party, ma anche a raduni pubblici illegali, dove spesso circola droga e altre sostanze (…) così mettiamo fine a party e raduni illegali, dove l’illegalità, la trasgressione e l’uso di droghe erano all’ordine del giorno”.
Ha detto lo scrittore Vanni Santoni (1) che la nuova legge è l’ennesimo passo in “direzione di una progressiva riduzione dello spazio pubblico che non riguarda solo i rave (…) un’operazione al livello nazionale, che va avanti da un decennio,a danno dello spazio pubblico e a favore di quello privato». Sicuramente è una legge liberticida fatta di norme ambigue che consentono all’arbitrio di giudici e sbirri di fermare o proibire eventi e perseguirne gli organizzatori e che a partire dalla pene draconiane che prevede (la pena minima di tre anni è superiore di sei volte a quella per sequestro di persona che è sei mesi) è l’espressione di una truce cultura politica che avversa visceralmente ogni manifestazione di gioia e di vita. Come d’altra parte ha detto il filosofo Miguel Unamuno, “il vero motto di ogni fascismo è Viva La Muerte”.
robertino